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Ben oltre gli schemi del passato
Fisica quantistica, teoria della complessità, riscoperta degli studi di Goethe e visioni all’avanguardia nel campo della leadership si incontrano per far intravedere nuove direzioni, prima inimmaginabili, per il pensiero e lo sviluppo umano.
«Siamo ancora prigionieri del passato», scrive Peter Senge su Presence, “Un’esplorazione dei profondi cambiamenti nelle persone, nelle organizzazioni e nella società”. Peter Senge è un ingegnere aeronautico, e in questa sua ricerca ha coinvolto altri pionieri nel campo dell’innovazione: «Il passo che ci aspetta è quello di un profondo cambiamento personale e sistemico. Questo cambiamento necessario non ha a che fare con il “cosa” e il “come” - quello che i leader fanno e come lo fanno – ma con il “chi”: chi siamo e quale è il luogo interiore, la sorgente, da cui operiamo, sia singolarmente che collettivamente», conferma Otto Scharmer, anche lui docente alla School of Management del MIT.

La novità è che questi discorsi di inevitabile cambiamento in atto e di necessità di trovare dentro di sé la sorgente, il luogo da cui co-creare la realtà – perché è questo il termine, che ricorre sempre più spesso per definire il potere dell’individuo – non vengono né da mistici, né da filosofi, né da psicologi transpersonali, ma da consulenti noti e stimati in ambito manageriale, da esperti delle organizzazioni, che hanno saputo oltrepassare i presunti limiti del loro campo d’azione per riconoscere che le organizzazioni e i sistemi viventi hanno molto in comune.

Sono quattro i ricercatori che si incontrano in questa conversazione durata due anni e poi trasformatasi in questo libro non ancora tradotto in italiano che a poco a poco arriva ad affermazioni grandiose – e in perfetta sintonia con la visione dell’ecopsicologia – che ognuno di noi può cambiare il mondo nella misura in cui diventa capace di “sviluppare presenza a se stesso e alla vita”, di riconoscere l’intero nel presente, diventando parte attiva della coscienza in evoluzione.

Si toccano temi di altissima spiritualità in una chiave meravigliosamente laica, cioè scevra di fronzoli e connotazioni riconducibili a un maestro o a una traduzione spirituale piuttosto che a un'altra. La Teoria della complessità fa da filo conduttore, ma con discrezione e la visione che ne emerge è grandiosamente umana e planetaria. E’ lì per tutti coloro che avranno la voglia di oltrepassare le colonne d’ercole, i limiti di vecchi schemi di pensiero meccanicistici e di mettersi in gioco in prima persona, nessuno escluso.

Il primo passo, ci spiegano i nostri autori, è comprendere la natura degli “interi” e come “parte e intero” si relazionano tra loro. Il nostro normale modo di pensare ci inganna, ci porta a pensare agli interi come fatti da tante parti, così come un’auto è fatta da ruote, asse, motore ecc.. Se l’intero è fatto di parti, dipende da queste per funzionare bene. Se una parte si rompe bisogna aggiustarla o cambiarla. Questo è un modo molto logico di pensare… per le macchine, ma i sistemi viventi sono diversi. A differenza delle macchine, i sistemi viventi – un organismo, un ecosistema, un albero – creano loro stessi. Non sono un semplice assemblaggio delle parti, ma crescono continuamente e cambiamo insieme ai loro elementi.

Riporto qui una sintesi di due paragrafi del primo capitolo:

L’inventore Buckminster Fuller soleva alzare la sua mano e chiedere al suo pubblico: «Che cosa è questo?», «Una mano». rispondevo invariabilmente. Ma a quel punto lui puntualizzava che le cellule di questa mano muoiono e si rigenerano continuamente. Ciò che sembra tangibile è, di fatto, in continuo cambiamento. Infatti una mano si ricrea completamente nel giro di poco più di un anno. Quindi ogni qualvolta consideriamo una mano – o un corpo o un sistema vivente – come qualche cosa di statico, ci sbagliamo. «Ciò che vediamo non è una mano – diceva Fuller – ma uno “schema di integrità”, la capacità dell’universo di creare mani».
Per Fuller, questo “schema di integrità” era l’intero di cui ogni parte della mano è la concreta manifestazione. E c’è una stretta relazione tra le parti e l’intero, per esempio ogni cellula contiene la stessa informazione genetica, ma anche così ogni cellula si differenzia, nel suo processo di maturazione, in un occhio, un rene, un cuore ecc. Questo perché la cellula sviluppa una sorta di identità sociale in accordo con il contesto, con ciò che è necessario per la salute dell’organismo più ampio. Una cellula che perde la sua identità sociale, si riconverte a una divisione cellulare indifferenziata e questo mette a repentaglio esistenza stessa dell’intero organismo. E’ quello che conosciamo come cancro.



Viene più volte citato Henry Bortoft, filosofo delle scienza contemporaneo, che si esprime in questi termini: “La parte è un luogo da cui presenziare l’intero”. E in queste apparentemente semplici parole c’è l’invito a un capovolgimenti di visione della realtà drastico tanto quanto la visione copernicana. Nelle sue teorie sulla percezione ispirate a Goethe, c’è un inversione di contenuto e contenitore, l’intelletto non legge la realtà, e i sensi non sono solo i collettori di qualcosa di esistente al di fuori di noi, ma è la realtà stessa ad essere costruita in base alla capacità di recepirla e di tradurla in qualche cosa di noto o, invece, di nuovo, quale essa sempre è (Eraclito docet).

La percezione va allenata, va affinata, va affiancata dalla capacità di rallentare, di focalizzare, di guardarsi dentro in quanto agenti attivi della percezione/creazione della realtà. E’ il processo che Otto Scharmer guida a realizzare in quella che ha chiamato Theory U, la capacità di attingere alla sorgente, quell’indefinibile ma concreto punto alla radice di ognuno di noi, chiamato centro, testimone, presenza vigile, e in mille altri modi da pratiche religioso, meditative, marziali di tutti i tempo e le culture.

Quando riusciamo a superare la visione meccanicistica del mondo, che vede l’intero come un insieme di parti rimpiazzabili e il singolo individuo come una risorsa umana e non come una persona, possiamo aprirci a una visione della vita in cui siamo noi col nostro atteggiamento, prima ancora che con le nostre azioni che determiniamo l’evoluzione di situazioni, relazioni e imprese. Si apre un nuovo immenso capitolo che dovrà ribaltare l’educazione, prima di tutto, per renderci consapevoli di questa capacità, di questo potere personale spesso sconosciuto, disperso se non addirittura distorto e usato male, a disposizione di tutti. Imparare a guardarsi dentro, a scoprire vastità e profondità diventerà punto di partenza per riconoscere la vita come processo attivo e sinergico, che possiamo guidare con le nostre scelte.

In sintesi: essere presenti a noi stessi e alla vita, ecco la sfida. E’ un lunghissimo lavoro, ma anche un viaggio di diecimila chilometri, come diceva Lao Tsù, inizia con un primo passo. E sono sempre di più coloro che hanno già iniziato.

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